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Il 27 gennaio come ogni anno celebriamo la Giornata della Memoria, occasione per riflettere insieme sull’orrore della Shoa e dello sterminio pianificato degli ebrei in Europa. Non smetteremo mai purtroppo di provare sgomento per quanto la storia di quegli anni ci consegna. E questo è un buon segno. Guai se fossimo assuefatti all’assurdità, per quanto nota, di uno Stato che avviò una campagna persecutoria in tutto il continente contro un popolo intero.

I racconti e le testimonianze che la ricerca storica continua a tramandarci parlano di un orrore che suscita ancora oggi la domanda su come sia possibile compiere un male così feroce. Questa domanda è ciò che abbiamo di più prezioso. Lo dico pensando soprattutto ai ragazzi che questa settimana vivono nelle scuole momenti di studio e riflessione. La domanda viva permette di tenere gli occhi e le orecchie ben aperti, così da poter individuare invece dov’è il vero bene per sé e per gli altri. Se il 27 gennaio non è vissuto per questo rimane la schermaglia politica delle ricorrenze usate come clava dagli uni contro gli altri.

La scuola e la didattica invece servono per aprire, attraverso per esempio lo studio dell’arte e delle letteratura, alle domande fondamentali dell’uomo. Non è un caso che i deportati e gli internati nei campi di concentramento si tenevano in vita ripetendo a memoria testi di opere celebri, come la Commedia di Dante. Ce lo racconta Primo Levi nell’undicesimo capitolo del suo celebre Se questo è un uomo:

«Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca: “Considerate la vostra semenza:/ Fatti non foste a viver come bruti,/ Ma per seguir virtute e conoscenza”.»

Nel lager Levi e il suo amico Jean vivono come “bruti”, ma l’immedesimazione con il mito di Ulisse, con quell’ardore di conoscenza che spinse l’eroe omerico ad andare oltre le colonne d’Ercole, rende omaggio alla loro statura di uomini, anche nella disumana condizione in cui loro malgrado versano. Infatti Levi scrive che Pikolo lo prega di ripetere quei versi, perché «ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie». Quell’invito a considerare la “semenza” umana, a «seguir virtute e canoscenza», è descritto da Levi «come la voce di Dio».

Le ideologie del Novecento, di qualsiasi colore, sopravvivevano perché cercavano di censurare proprio la “semenza” degli uomini, perché cercavano di censurare le domande e le esigenze fondamentali. Infatti chi domanda e cerca sinceramente la risposta svela la falsità e la violenza di ogni visione ideologica del mondo e della storia.

Matteo Forte

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