La vicenda dell’Ilva ha toccato anche la nostra città. L’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata ad 8 indagati, alcuni dei quali residenti a Milano. Si tratta del patron dell’Ilva Emilio Riva e di suo figlio Nicola, ex presidente dello stabilimento fino a poche settimane fa. «Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza». Con queste parole il gip di Taranto Patrizia Todisco lo scorso 26 luglio ha disposto il sequestro di sei reparti a caldo del siderurgico tarantino e ha ordinato l’arresto delle 8 persone, quelle che hanno gestito lo stabilimento dell’Ilva dal 1995, quando lo rilevarono dallo Stato. Per lo stesso gip lo stop alle acciaierie deve essere immediato «a doverosa tutela di beni di rango costituzionale», come la salute e la vita umana, «che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta».
Al netto di tutte le considerazioni sulla vicenda, molto tecniche e puntuali, 14 mila persone rischiano di perdere il lavoro in un grave momento di crisi. Una nota di Federacciai spiega bene: il provvedimento che ha imposto il sequestro dell’Ilva di Taranto ipotizzando un ‘disastro ambientale’ equivale a «colpire duramente questa filiera, con conseguenze economiche e sociali drammatiche». Il peso del polo siderurgico tarantino «si estende a tutta l’industria italiana che lavora ed eccelle sulla trasformazione dei prodotti dell’Ilva. Quest’ultima rappresenta un patrimonio del Paese, uno dei migliori esempi di quanto l’Italia sia stata capace di fare per essere un moderno e importante Paese industriale». La drastica scelta della chiusura colpisce soprattutto perché, come ha dichiarato il ministro dell’Ambiente Clini, appare come una «contraddizione»: «L’acciaieria di Taranto per effetto delle normative ambientali nazionali ed europee – ha spiegato – negli ultimi 5 anni ha fatto investimenti che ne hanno migliorato la produttività, riducendone l’impatto ambientale».
Da questo punto di vista provocano le parole scritte oggi in un editoriale su il Giornale da Giuliano Ferrara: «Perché un magistrato che presumo ineccepibile professionalmente si sente in dovere di attaccare la “logica del profitto” e il “cinismo” degli industriali dell’acciaio in un’ordinanza di custodia cautelare e di chiusura di una fabbrica?». Poi spiega: «Il principio di precauzione è incauto. Questa è la verità. È la forma temeraria che assume l’orientamento scientifico di Stato nella presunzione proibizionistica di poter controllare la società, i gruppi, le persone, in nome di una superiore coscienza del vero, del buono, dell’utile collettivo. È il cosiddetto “benecomunismo”, l’ideologia del ceto medio di sinistra che si vuole colto e riflessivo (giornalisti, intellettuali, esperti e magistrati ne sono il nucleo combattente)».