Appena Giorgia Meloni ha sciolto la riserva e venerdì 21 ottobre ha letto la lista dei ministri del suo governo, un nome su tutti mi ha spiazzato: Alfredo Mantovano. Ha spiazzato perché l’ex magistrato sicuramente non fa parte dell’entourage politico del nuovo capo del governo. Nei giorni precedenti si facevano altri nomi, sicuramente più vicini alla leader del partito risultato vincitore alle elezioni dello scorso 25 settembre.
Tuttavia non è stata nemmeno questa considerazione a spiazzarmi, quanto il fatto che è tanti anni che frequento – sebbene principalmente via email e telefono, ma non sono mancati momenti vis-à-vis – Alfredo Mantovano.
Non sto qui a descrivere il profilo del nuovo Sottesegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non è mio compito e per questo c’è già un’ampia rassegna stampa. Quel che posso dire è che da quando ancora l’on. Mantovano ricopriva il ruolo di parlamentare dell’allora Popolo della Libertà, il partito unico del centrodestra e nelle file del quale pure fui eletto nel 2011, è iniziato un lavoro di confronto, approfondimento e dialogo sul merito di tante questioni complesse e anche tecniche che hanno avuto ricadute persino sulle amministrazioni locali e che contribuiscono a fare della nostra “non un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca” (Papa Francesco). Mi riferisco alle cosiddette questioni etiche (registro delle unioni civili, quello del biotestamento, trascrizione all’anagrafe di minori come figli di coppie omosessuali), ma anche alle questioni attinenti alla cittadinanza agli stranieri e alla realizzazione di nuovi luoghi di culto, in primis le moschee.
Riguardo a quest’ultimo argomento, e che tra tante battaglie è tra quelle che più qualifica la mia esperienza di opposizione alle giunte di sinistra susseguitesi a Palazzo Marino, sono stati preziosissimi i pareri elaborati dal Ministero dell’Interno quando Mantovano ricopriva la carica di sottosegretario al Viminale nell’ultimo governo Berlusconi. Fu in quella veste che si occupò di e trasformò la Consulta, creata a suo tempo da Giuliano Amato, in Comitato dell’Islam italiano. A seguito di polemiche per il rifiuto della Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche d’Italia) di aderire alla Carta dei valori redatta proprio da Amato, Mantovano optò per una soluzione più pragmatica di quella del governo di centrosinistra (che era finalizzata più che altro al difficile se non impossibile raggiungimento di un concordato con quella confessione islamica che però si presenta molto frastagliata e non come monolite). L’allora sottosegretario coinvolse quindi nel Comitato non solo esponenti di diverse comunità islamiche ma pure sociologi, giornalisti e docenti di diritto per formulare pareri utili al governo o alla stesura di proposte di legge in materia, per esempio, di burqa o niqab (luglio 2010), luoghi di culto islamici (marzo 2011), imam e formazione (luglio 2011). Quando nel 2011 Pisapia vinse le amministrative a Milano e la maggioranza di centrosinistra iniziò ad occuparsi della possibilità per le comunità islamiche di realizzare legittimamente un loro luogo di culto, contattai Mantovano che si mostrò da subito disponibile mettendomi a disposizione i pareri e l’esperienza maturata al governo. Un’esperienza che, e questo è ciò che subito mi convinse da un punto di vista politico e intellettuale, teneva insieme il sacrosanto diritto alla libertà religiosa di fedeli sinceramente musulmani con l’altrettanto giusta esigenza di sicurezza in un’epoca segnata dall’islamismo politico e dal terrorismo di quella matrice. Il tutto tenuto insieme da una grande perizia giuridica.
Il 3 maggio 2020 insieme agli amici di Nuova Generazione, quasi a conclusione di mesi di lockdown e a pochi giorni da una polemica innescata con la Conferenza episcopale dall’allora governo Conte che sembrava aver dimenticato nelle sue decisioni sulla cosiddetta fase 2 della pandemia la possibilità di partecipare alle celebrazioni liturgiche, organizzammo un webinar proprio con Mantovano dal titolo “La libertà è religiosa”. In quella occasione, cui prese parte anche l’imam Pallavicini della Comunità Religiosa Islamica (Co.Re.Is), ricordammo quanto la natura profonda della persona coincida con un interrogativo ultimo sull’esistenza e che quel regime che tentasse di contenere ogni libera ricerca sull’origine e il destino dell’uomo risulta essere violento. Ecco perché il nuovo Sottosegretario di Stato anche in quella occasione affermò, da fine giurista qual è, che la libertà religiosa è la «cartina di tornasole» di una società giusta e rispettosa dello stato di diritto.
Negli anni lo stesso Mantovano mi ha reso partecipe delle iniziative del Centro Studi Rosario Livatino, di cui è stato uno dei fondatori e animatore, facendomi conoscere e rendendomi familiare la straordinaria figura del magistrato ucciso nel 1990 dalla mafia e proclamato beato da papa Francesco il 9 maggio 2021. Grazie ai lavori del Centro Livatino ho potuto avere nel tempo un importante punto di riferimento culturale e di aggiornamento su vari «temi riguardanti in prevalenza il diritto alla vita, la famiglia, la libertà religiosa, e i limiti della giurisdizione in un quadro di equilibrio istituzionale». Fino all’ultima iniziativa, quella promossa proprio insieme a Mantovano lo scorso 8 luglio a Palazzo Pirelli per esporre le ragioni del “No” alla proposta di legalizzazione della cannabis.
La sua nomina da parte di Meloni dunque mi sembra imprima al nuovo governo una direzione giusta e che, a mio giudizio, mette anche fine all’improvvisazione populista/sovranista del centrodestra post-berlusconiano, ammettendo la possibilità di affrontare finalmente le grandi questioni del nostro tempo con quella che Benedetto XVI definì «l’intelligenza della fede che diventa intelligenza della realtà».