PENSIERO FORTE

Immigrazione

Spesso guerre, persecuzioni, catastrofi naturali, sottosviluppo, mancanza di lavoro e prospettive rendono l’emigrazione una necessità.

Questa, invece, dovrebbe essere sempre una scelta libera, evitando che le persone si consegnino ad organizzazioni criminali, responsabili di quello che ormai è un vero e proprio traffico di esseri umani. Questa forma di schiavismo del nostro tempo ha finito per trasformare il Mediterraneo in un cimitero. Perché l’emigrazione non sia una necessità, ma l’esito di una libera scelta, occorre, come ha scritto Papa Francesco, «uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della Comunità internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra».

Immigrati: sfide e opportunità

Queste considerazioni trovano una certa sintonia con quanto affermato dal Presidente Meloni alla 78ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 22 settembre 2023: «Con il Processo di Roma, avviato a luglio con la Conferenza su Migrazioni e Sviluppo, abbiamo coinvolto le nazioni mediterranee e diverse nazioni africane su un processo che si snoda lungo due direttrici fondamentali: sconfiggere gli schiavisti del terzo millennio da un lato e affrontare le cause alla base della migrazione dall’altro, con l’obiettivo di garantire il primo dei diritti, che è il diritto a non dover emigrare, a non essere costretti a lasciare la propria casa, la propria famiglia, a recidere le proprie radici, potendo trovare nella propria terra le condizioni necessarie a costruire la propria realizzazione».

La mia proposta

Come declinare attraverso esempi concreti il “diritto a non emigrare”? Il governo dell’immigrazione è legato a doppio filo alla necessità di puntare sugli investimenti, lo sviluppo, la formazione, l’organizzazione di canali regolari per le migrazioni: questi sono gli obiettivi del Piano Mattei per l’Africa, volto a cambiare il paradigma con cui si pensa di favorire la stabilizzazione e la prosperità di quel continente.

Vanno sostenute inoltre le esperienze di chi opera nella cooperazione internazionale o sviluppa progetti di rimpatrio assistito, perché convinti che l’Africa, con il suo 60% di terre coltivabili e inutilizzate, sia un continente con un significativo potenziale di crescita.

Occorre poi non appiattire gli uomini e le donne che migrano alla sola dimensione economico-lavorativa, finendo per considerarle come mere braccia da lavoro. Il contributo delle comunità religiose può, in questo senso, aiutare a superare l’odio verso una fede che spesso costringe, per esempio, tanti cristiani a fuggire dal proprio paese d’origine.