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Sicuri che l’orgoglio musulmano di Mamdani sia solo una bandierina woke?

Non sarà la prova dell’islamizzazione degli Stati Uniti, ma l’esultanza di organizzazioni legate ai Fratelli Musulmani e dei media iraniani per il nuovo sindaco di New York qualcosa deve dirci.

 

di M. Forte, su Tempi.it di domenica 9 novembre 2025

 

Il Cair, ovvero l’organizzazione dei musulmani degli Stati Uniti d’America, esulta per l’elezione del fedele sciita Zohran Mamdani a sindaco di New York. A ciò si sono unite le congratulazioni per la contestuale elezione a vice-governatrice della Virginia della senatrice Ghazala Hashmi, «la prima donna musulmana eletta ad una carica statale in qualunque parte d’America». Prima di ogni valutazione sulle politiche (tutte ancora da vedere) che i due neoeletti metteranno in campo, è degno di nota il fatto che chi esulta, cioè il Cair, faccia parte del network internazionale della Fratellanza Musulmana. Per intenderci, si tratta di quel movimento politico-ideologico nato in Egitto un secolo fa e che riassume il proprio impegno e le proprie lotte nello slogan «l’Islam è la soluzione». Quel network di cui Hamas rappresenta da sempre la propaggine palestinese e la cui presenza e radicamento, per esempio nel Regno Unito, fu definito, non più tardi di una decina di anni fa, indice di estremismo da uno specifico rapporto della Camera dei Lord.

Quel paragone con il nipote del Profeta

La risonanza che soprattutto l’elezione di Mamdani sta avendo sui media iraniani non è certamente prova del fatto che sia in corso una islamizzazione degli States, ma indica che confinare la scelta del nuovo sindaco di New York ad un affare politico interno americano è quantomeno miope. Significativo che Hamshahri, quotidiano del Comune di Teheran, abbia paragonato Mamdani al nipote del Profeta, Hussein ibn Ali, venerato dagli sciiti, e l’agenzia stampa legata alle Guardie della Rivoluzione (Tasnim) abbia definito l’esito del voto quale «terremoto strutturale», che invita a riflettere sulla «ridefinizione della giustizia sociale e dell’uguaglianza». Non c’è da stupirsi se gli organi ufficiali del regime usino questo linguaggio. Già Khomeini anticipò possibili avversari di sinistra nella contesa per la leadership rivoluzionaria, adottando una lettura marxista che voleva la società iraniana divisa in oppressori e oppressi: in questo modo il fondatore della Repubblica islamica si servì dei comunisti per sbarazzarsene una volta raggiunto il potere. Questo è un po’ il metodo che abbiamo visto negli ultimi decenni anche in Occidente, laddove militanti dell’islamismo politico salutavano positivamente l’approvazione di leggi sui cosiddetti diritti civili, come per esempio le cosiddette unioni civili, perché considerate il grimaldello con cui scardinare il diritto europeo e introdurre brandelli di Sharia, come la poligamia. Questo spiegherebbe quel che da qualche anno è in atto all’interno delle sinistre occidentali e, in particolare nei Dem americani, dove minoranze etniche e sessuali stanno prendendo il sopravvento sulla storica classe dirigente per rivendicare come prioritarie le proprie rispettive agende. Questo ha generato la reazione Maga. Questo ha generato in reazione quello che viene comunemente definito pensiero post-liberale, che vede nella cultura woke l’apice del liberalismo moderno, con il suo strascico di individualismo radicale e relativismo etico.

Multiculturalismo woke o islamismo politico?

Tuttavia, sarebbe sbagliato derubricare la partecipazione di attivisti musulmani alla vita politica delle Nazioni occidentali a wokismo o a minoranza al pari dei militanti Lgbqt+. Lo capiamo dalle prime parole di Mamdani: «Sono giovane, nonostante i miei migliori sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un socialista democratico. E, cosa più dannosa di tutte, mi rifiuto di scusarmi per ciascuna di queste cose». Un giovane, musulmano e socialista che non si vergogna della propria provenienza, storia, cultura politica e religione. Il contrario, dunque, della culture cancel e di quel multiculturalismo che vorrebbe garantire una pacifica convivenza giustapponendo le comunità una accanto all’altra e facendo a meno della verità. Se Mamdani reclama il suo essere giovane, musulmano e socialista, egli sembra porsi in antitesi a quella ideologia che pervade la sinistra occidentale e che vede la rivendicazione di ogni tipo di appartenenza come nemica. Ideologia funzionale al globalismo, che vuole individui sradicati perché più malleabili e meno liberi. E allora, forse, il tema identitario che Giorgia Meloni pose in Piazza San Giovanni, a Roma, nel 2019, torna prepotentemente anche a sinistra. Quel «io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana» che tanta irrisione aveva generato, ha finito in realtà per dettare l’agenda anche a sinistra. Si tratta di capire se l’identità che Mamdani rivendica dal lato Dem è per arricchire quel pluralismo delle idee e delle confessioni tipico delle democrazie occidentali, oppure un “adattare la lingua all’orecchio dell’interlocutore”, tratto distintivo dell’islamismo politico.

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