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L’affaire Scurati e l’antifascismo

La cosiddetta “TeleMeloni” ha fatto il più bel regalo alle opposizioni che potesse fare. Dimostrando di essere più dannosa che vantaggiosa per il Presidente del Consiglio. La Rai ha infatti creato l’ “affaire Scurati“, trasformando quello che probabilmente è un caso legato al compenso per la performance dello scritture in epidosio di censura politica. Il tutto ovviamente ad uso e consumo della imminente campagna per le elezioni europee, con l’appello a tutte le forze democratiche e progressite a tornare a fare fronte comune sui valori dell’antifascismo. Il Presidente Meloni, infatti, è reo di non aver pronunciato per il secondo anniversario consecutivo della Liberazione d’Italia dal nazifascismo la parola “antifascismo”.

È allora su questo concetto che è opportuno fare un breve ripasso di storia.

I patrioti delle Formazioni Osoppo del Friuli, di cui ogni 25 Aprile mi onoro di portare il fazzoletto verde, videro insieme alpini e militari alla macchia, giovani dell’Azione cattolica, preti e universitari legati al Pd’Az. Si tratta di unicum all’interno del Movimento di Liberazione, che ben si inserisce nel più vasto mondo delle Formazioni autonome della Resistenza al nazifascismo.

Le autonome sono una realtà sterminata nell’Italia centro-settentrionale, già all’epoca guardata con sospetto dai Gruppi armati proletari (i Gap responsabili per esempio dell’eccidio di Porzus, in cui furono uccisi combattenti delle Osoppo, tra cui lo zio di Francesco De Gregori e il fratello di Pasolini) e in generale da chi vedeva nella Resistenza l’occasione per una lotta di classe che portasse alla dittatura del proletariato. Addirittura una Medaglia d’Oro della Resistenza, come il monarchico Edgardo Sogno, essendo stato un liberale anticomunista fino alla sua morte, fu processato ancora negli anni Settanta da un giovane magistrato poi eletto alla Camera con il Pci-Pds: Luciano Violante.

Nelle lezioni preparatorie e di formazione tenute ai giovani fazzoletti verdi, don Aldo Moretti chiarì che si sarebbero chiamati “patrioti” e non “partigiani” e si sarebbero definiti “di destra o di centro”. Ciò proprio per non confondersi con quella parte della Resistenza che, sul confine orientale, si era messa sotto il diretto comando dei comunisti sloveni che miravano, tra uccisioni sommarie, torture e infoibamenti, ad annettere parte del territorio italiano fino al fiume Tagliamento. E questa pagina della storia, troppo spesso strappata dai manuali, non fa della lotta del Pci una impresa nazionale – come ha ben scritto Ernesto Galli della Loggia.

Ecco perché ancora oggi – a dispetto delle polemiche degli ultimi giorni – non basta dirsi “antifascisti” per difendere e amare la libertà e la democrazia. Del resto pure Stalin, mentre attuava le purghe e consolidava il suo sistema concentrazionario dei gulag, si diceva antifascista – anche per far dimenticare due anni di alleanza con Hitler attraverso il patto Ribbentrop-Molotov. Occorre quindi quel passo in più, che solo una parte della Resistenza seppe fare tra il ’43 e il ’45: occorre infatti essere antitotalitari.

Se dopo il 25 Aprile del 1945 non siamo diventati una “democrazia progressiva”, come molte nazioni dell’Est Europa, è perché ha vinto la parte giusta della Resistenza.

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