«Le città sono veri motori di innovazione, alimentano la creatività, tirano fuori il meglio di noi per risolvere anche i problemi più difficili» (Edward Glaeser, il Trionfo della città).
Nel dibattito sull’approvazione definitiva del Piano di Governo del Territorio (PGT), presentato dalla Giunta Moratti modificato da Pisapia, la citazione di Glaeser offre uno spunto interessante. Il soggetto della frase sono le città, non l’ente “Comune”. È l’essere relazionale della persona che «tira fuori il meglio di noi», non le ordinanze o le delibere di una amministrazione. E ancora una volta la differenza la fa la concezione di bene comune, che non è il bene del Comune. Esso non è prodotto da chi amministra una città. È il bene di tutti e di ciascuno. È qualcosa che va sorpreso in atto e non pianificato dall’alto di uno scranno istituzionale, perché riguarda la libera iniziativa delle persone, singole e associate.
Ci sono almeno tre punti delicati in cui tutto questo si gioca: il piano dei servizi, il principio di perequazione e compensazione e i mutamenti delle destinazioni d’uso.
Piano dei servizi. Nel PGT del centrodestra era ispirato al pincipio di sussidiarietà. La mappatura dei servizi comprendeva sia quelli pubblici che quelli privati, perché per chi esprime un bisogno un servizio è un servizio, indipendenmente da chi lo eroga. Inoltre, con un uso intelligente degli indici di edificazione, si generavano le condizioni perché i privati che investivano in un area portassero con sé un servizio per il quartiere. Ora il meccanismo rischia di essere più ingessato ed è il Comune che indica agli operatori cosa devono fare.
Perequazione. A tutte le aree veniva dato un valore edificatorio uniforme, prescindendo dall’effettiva possibilità di costruire sulla singola proprietà, ma prevedendo la possibilità di trasferire quel diritto. Ciò non solo recepiva un suggerimento della Corte Costituzionale (sent. n. 179/1999), ma aveva una duplice finalità: garantire l’uguaglianza delle proprietà fondiarie; acquisizione di aree da parte dell’ente pubblico evitando il ricorso all’espropriazione e compensando i proprietari dell’area di interesse da parte del Comune. Un esempio concreto al riguardo era costituito dal Parco Sud: con l’attribuzione del diritto edificatorio perequato si consentiva ai numerosi attuali proprietari privati delle aree il trasferimento delle volumetrie in cambio della cessione al Comune, in vista della realizzazione per l’Expo 2015 del più grande parco agricolo d’Europa capace di portare la “campagna in città”. La sinistra, per quanto ambientalista, ha cancellato questa attribuzione. Il rischio è quello di perdere questa grande aree verde, con la certezza che se si vorranno perseguire quegli obiettivi di interesse pubblico, il Comune dovrà far sborsare a tutti i cittadini non pochi soldi.
Mutamenti destinazioni d’uso. L’articolo 5 del Piano delle Regole del PGT targato Moratti sanciva: «Le destinazioni funzionali sono liberamente insediabili, senza alcuna esclusione e senza una distinzione ed un rapporto percentuale predefinito». Oggi la norma viene modificata in senso più vincolistico, differenziando in base all’ampiezza dell’area. Così si rende più complesso e macchinoso il cambio di destinazione d’uso da funzioni produttive ad altre funzioni urbane.
Pisapia ieri ha serrato le fila della sua maggioranza, invitando a votare in fretta il PGT per sventolarlo quale grande risultato in occasione delle prossime elezioni amministrative, che si terranno in molti comuni della provincia. Scelta legittima. Tuttavia quello propagandistico non può essere l’unico criterio per approvare definitivamente il PGT che disegna la nuova Milano da qui al 2030. C’è in ballo dell’altro. Infatti, quando si tende a complicare la norma e a stabilire con vincoli cosa e come si deve fare, avviene quella inversione per cui l’uomo è fatto per la legge e non la legge per l’uomo