Con la pubblicazione dell’audizione del 7 ottobre di Alberto Frigerio (professore incaricato di Etica della vita presso l’Issr di Milano ed editorial member dell’American Journal of Health Research) nella seduta congiunta delle Commissioni consiliari II e III di Regione Lombardia, Tempi.it comincia un serie di articoli firmati da Caterina Giojelli con cui si seguono i lavori del Pirellone sulla proposta di legge di iniziativa popolare dell’Associazione Luca Coscioni sul suicidio medicalmente assistito
Nel mio intervento intendo avanzare due notazioni sulle ricadute civili correlate agli ordinamenti giuridici favorevoli alla pratica eutanasica e suicidaria assistita. La prima notazione riguarda il fatto che l’adozione di leggi favorevoli all’eutanasia e al suicidio assistito provoca stigma sociale verso la vita provata da patimenti, tanto più nell’odierna società consumistica, che funziona nella logica dell’utile e dilettevole. È quanto segnalò Cicely Saunders, iniziatrice dell’Hospice Movement:
«Dovesse passare una legge che permettesse di portare attivamente fine alla vita su richiesta del paziente, molte delle persone “dipendenti” sentirebbero di essere un peso per le loro famiglie e la società e si sentirebbero in dovere di chiedere l’eutanasia. Ne risulterebbe come conseguenza grave una maggiore pressione sui pazienti vulnerabili per spingerli a questa decisione privandoli così della loro libertà» (Lettera del 1993).
Il motivo è che il contesto socioculturale, connotato da precisi costumi e rappresentazioni del mondo, influenza la percezione che il soggetto ha di sé e della realtà, come evoca Thomas Mann: «L’uomo non vive soltanto la sua vita personale come individuo singolo, ma, consapevolmente o inconsapevolmente, vive anche quella della sua epoca e del suo ambiente»1.
Ora, tra i dispositivi più rilevanti nel plasmare i costumi sociali ergo la concezione che il soggetto matura, si annovera la legge, in quanto
«le leggi statali, oltre a essere permissive o restrittive, sono espressive: cioè, oltre a permettere o vietare un comportamento, esprimono una visione delle cose»2.
Le considerazioni svolte consentono di enucleare la correlazione tra eutanasia pietistica, che pone al centro la volontà del singolo, il quale per suo volere viene soppresso per porre termine ai patimenti, e utilitaristica, che pone al centro il progetto dello Stato, che si reputa autorizzato a sacrificare la vita di alcuni per un supposto bene collettivo. Nell’antichità prevale l’accezione utilitaristica, come testimonia Platone:
«Introdurrai nello Stato la medicina nella forma che si è descritta, cosicché insieme ti curino quei cittadini che hanno una sana costituzione e, quanto agli altri, lascino morire gli individui che sono portatori di tare fisiche e addirittura sopprimano di prima mano quelli che hanno malattie psichiche ereditarie e incurabili»3.