L’ex alto magistrato Canzio confessa il cortocircuito del Pirellone sulla dolce morte: la politica dice “no”, il tavolo tecnico fa l’opposto. Come denunciato dalla “Verità”
di Martino Cervo, su La Verità di giovedì 29 maggio 2025.
Il Consiglio regionale decide (in un senso), il tavolo tecnico attua (in un altro). In una rivelatoria audizione tenutasi ieri in Commissione Affari istituzionali della Regione Lombardia si è avuta una interessante conferma del problema politico evidenziato su questa testata a proposito del fine vita. Come i lettori ricorderanno, il Pirellone ha approvato una pregiudiziale di costituzionalità stabilendo che una norma sulla morte medicalmente assistita non è materia su cui possa legiferare l’ente retto dal leghista Attilio Fontana. Mentre veniva discussa e votata tale pregiudiziale, tuttavia, la Direzione generale del Welfare e l’assessorato alla Sanità retto da Guido Bertolaso avviavano con delibera non pubblicata un tavolo tecnico di cui ha dato notizia questa testata, e a cui capo si trova Giovanni Canzio, Primo Presidente emerito della Corte di Cassazione. E proprio Canzio ieri è stato audito e ha risposto, nella parte finale dell’incontro istituzionale, a una domanda sul tavolo tecnico. Confermando in pieno il contrasto tra indirizzo politico e procedure messe a verbale dal suddetto tavolo. Un contrasto che, per Canzio, non presenta problematicità di sorta.
«La Dg welfare, unitamente all’assessore alla Sanità, ha costituito questo tavolo tecnico da me presieduto», ha detto l’ex alto magistrato, dandoci il compito di «definire dal punto di vista procedurale il percorso attuativo derivante dalle sentenze della Corte costituzionale in materia di morte medicalmente assistita, cioè ci siamo occupati di scrivere linee guida procedurali, best practices, rispetto a domande di cittadini che non possono rimanere inevase, pena denuncia».
Trova qui autorevolissima conferma il fatto che la stesura di linee guida deriva anzitutto dal timore delle strutture sanitarie e dei loro dirigenti di grande giudiziarie, a prescindere da eventuali leggi nazionali e come si vede anche da norme di rango inferiore. Tanto che, nei fatti, il decisore politico si trova, almeno in Lombardia, in una paradossale irrilevanza di merito su questa materia. L’assunto su cui si basa il lavoro di Canzio e degli esperti al tavolo è infatti quello per cui le sentenze della Consulta sul fine vita «creino» obblighi in capo alla sanità delle Regioni, senza che tali vincoli siano decisi politicamente dalla rappresentanza.
Canzio ha dato ai consiglieri regionali e ai lombardi anche una notizia importante: il lavoro di questo tavolo è già stato consegnato al committente, ovvero «la Dg welfare e l’assessore». Lo stesso ex procuratore ha spiegato che il tavolo non si è occupato di «casi singoli», ma solo – ha ribadito ai consiglieri – «linee guida alla luce delle sentenza per indicare procedure corrette per gli operatori, registrando approvazione unanime e apprezzamento dai medici». Piccolo particolare: tali linee guide, come ha confermato ieri in Commissione il consigliere regionale Matteo Forte (Fdi) non sono state state diffuse formalmente ai consigliere né tanto meno rese pubbliche. «Non posso non sottolineare il mio stupore e mettere a verbale la mia perplessità sul fatto che l’esito della discussione dei tavolo entra a mio avviso in quello che chiamiamo indirizzo politico», ha scandito lo stesso Forte in chiusura, sottolineando l’attrito all’origine di tutta la vicenda lombarda: la politica in una direzione, i «tecnici» in un’altra, senza che tutto sommato la faccenda generi problemi particolarmente avvertiti, anche se Fratelli d’Italia non ha mancato di polemizzare in modo piuttosto diretto con la Giunta e in particolare con Guido Bertolaso.
Il prossimo passaggio interessante sarà la pubblicazione – sempre che avvenga – delle linee guida con cui le strutture lombarde risponderanno ai pazienti che vogliano morire mentre la Regione ha deciso che non è sua compito occuparsi della cosa.