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Milanosport. Ecco come rivedere 5 milioni di spreco

Foto tratta da repubblica.itE dopo la gragnola di Tasi, Imu e Tari, in attesa dell’Irpef, a Palazzo Marino discutiamo dell’aumento di tariffe per i servizi resi da Milanosport. Questa è una società a capitale interamente comunale che gestisce 27 impianti (piscine, palestre, impianti polisportivi nel territorio comunale). Il bilancio è in rosso da anni e mai si è riusciti a raggiungere il pareggio di bilancio. Addirittura il 13 giugno del 1993, a proposito del “papà” di Milanosport, il Corriere della sera descriveva il Centro Milanese per lo sport e la ricreazione «un’idrovora capace di risucchiare ogni anno una decina di miliardi [di lire, nda] di passivo». 

Il contributo comunale a Milanosport non è un compenso fisso, né tantomeno stabilito secondo criteri di performance aziendale. Tutt’altro. Questo viene determinato a fine anno, in base alle previsioni di bilancio che la società stessa fornisce all’Amministrazione. Simile modalità, tipica della società a capitale interamente pubblico, assicura a qualunque buco di bilancio una copertura ex-post. Ovviamente a carico dei contribuenti.

La Giunta Pisapia è riuscita in una sua tipica impresa funambolica. Dovendo ripianare per l’anno in corso un disavanzo che si calcola introno ai 5 milioni di euro, l’amministrazione arancione decide di “difendere” le risorse pubbliche aumentando le tariffe per un valore di circa 1 milione di euro.

Invece il problema sta alla radice: perché nel mercato dell’offerta di servizi sportivi e benessere ci dev’essere uno squilibrio a favore del pubblico che, grazie alla fiscalità generale, può garantire tariffe a basso costo? Se questi tipi di servizi, come dice la Giunta e come in parte è anche condivisibile, hanno un “valore sociale”, non sarebbe meglio sostenere la domanda di certe fasce d’utenza? Sono convinto di sì.

Per questo, riprendendo uno studio dell’Istituto Bruno Leoniho presentato un Ordine del Giorno in cui si chiede alla Giunta di vendere le strutture di Milanosport e avviare contemporaneamente una politica di voucher sostenendo gli utenti secondo criteri d’età e reddito. In questo modo non si sostengono “strutture”, né società, ma le persone. Che a loro volta saranno libere di scegliere dove spendere il titolo d’acquisto.

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