Questa mattina ho visitato la scuola San Giusto. La vicenda di questa primaria civica con 10 classi di 240 bambini in zona San Siro e realizzata nel 2004 dall’allora assessore Bruno Simini, sta diventando paradigma del modo di amministrare della sinistra arancione.
Senza alcun coinvolgimento di famiglie e docenti, la Giunta ha deciso di passare allo Stato la scuola, svelando una vena grottesca più che amministrativa (“Roma mi taglia risorse e io le ammollo costi per risparmiare”) e mettendo a repentaglio la peculiarità della San Giusto. Questa consiste nella maggiore quantità di ore dedicate allo sport, alla musica e alle lingue; un unicum in un quartiere di periferia, e circondato da case popolari. Significativo anche il coinvolgimento dei genitori. Un sempio: la creazione da parte di questi ultimi dell’associaizone Venti’08 permette di organizzare corsi ad altissimo livello di judo, musical hip hop, volley, basket, teatro in inglese, ecc., che coinvolgono 190 bambini (di cui 20 delle medie, ma che nei pomeriggi proseguono a frequentare con piacere le loro ex elementari) e che tengono aperta la San Giusto fino alle 22 di sera, riqualificando non poco la zona circostante. Le richieste di iscrizione sono ogni anno mediamente il doppio rispetto ai 50 allievi che possono essere inseriti nelle due prime. A dimostrazione che quando qualcosa è davvero bella, tutti si sentono attratti e desiderano prenderne parte. Una dinamica umanissima e, per certi aspetti, sana anche in campo educativo, perché sprona ciascuno ad offrire ai nostri figli il meglio. Se non fosse che alla sinistra arancione ciò dia parecchio fastidio. La Giunta Pisapia ha di fatto decretato la soppressione del “modello San Giusto” attraverso la sua statalizzazione, con l’inserimento di docenti esterni e la conseguente scelta di “spalmare” gli specialisti che rendono unica questa realtà, e stipendiati dal Comune, su altre scuole.
E in nome di cosa? Di una concezione di uguaglianza di stampo sovietico. Scrive l’assessore all’Educazione Cappelli ai genitori: «è proprio la sua unicità nel panorama delle scuole primarie della zona, come noto statali, e la sua non riproducibilità nel territorio, che propone la problematicità del mantenere in modo operante la scuola nella sua forma organizzativo/strutturale attuale. In sostanza, in una prospettiva più vicina al principio della pari opportunità per tutti i bambini in età scolare della zona, la scuola non chiude, si trasforma». Tradotto: laddove esistano eccellenze tutto deve essere livellato verso il basso, in modo che ognuno sia reso uguale nell’accesso a servizi mediocri.